Cerca nel blog

Libri preferiti

  • Banana Yoshimoto
  • Due di due
  • Il gabbiano Jonathan Livingstone
  • Il piccolo principe
  • Ragazze interrotte
  • Veronika decide di morire

Uno splendido viaggio sulle montagne russe della mente di una borderline girl

giovedì 31 marzo 2011

Follia a rilascio prolungato

I Beatles scrivevano canzoni dopo essersi fumati l'impossibile, molti rocker hanno navigato nell'alcool per far venire alla luce qualche giro accettabile di accordi, la Luisona invece, si fa di Seroquel, Efexxor, Tavor ed altro, più Red Bull, ginseng, caffeina e guaranà e, rimanendo nei giusti confini della legalità, è fuori come il tendone del circo Togni e si sbizzarisce, oltre a combinare una marea di cazzate, a scrivere tonnellate di parole a volte senza senso, a volte persino serie (o almeno ci prova).
Datele una penna, che deve essere rigorosamente nera a punta media, di quelle che compri al supermercato, alle casse, vicino ai rasoi, le chewing gum, i cioccolatini e le pile (le Mont Blanc lasciamole ai colletti bianchi). Datele anche un foglio, preferibilmente un quaderno a quadretti (lei è una precisa) di quelli grandi con la spirale così può far sparire le sue nefandezze prima che qualcuno le intercetti.
Mettetela infine in un contesto del quale non gliene può fregare di meno, una riunione condominiale, un corso di contabilità dove non riesce a capire una emerita fava, dalla parrucchiera con in testa una pila di bigodini, una conferenza, un lungo viaggio in auto, una partita di football americano e via dicendo...
E la magia inizia.


In questo momento ho, come sempre più spesso accade, la carogna sulla spalla e si fa impellente la tentazione di lanciare qualche piatto sul muro (vorrei provare coi gatti, per saggiare il loro coefficiente di elasticità) oppure rigare le auto di tutto il condominio. E magari farmi arrestare per resistenza a pubblico ufficiale.
La carogna ora vuole prendere la parola per dire che è molto incazzata. Imbestialita.
Dio o qualunque altra entità che ci ha creati è stato molto cinico e un filino bastardo oppure era fortemente impedito. Ci ha dato la vita ma troppo spesso è una vita così piena di dolore e angoscia che ti vien voglia di dire: "No, grazie, questa non è vita, è solo una grande presa per il culo".
E lo dico perchè in questo periodo sto bazzicando nei pressi di una cooperativa che impiega disabili e a me vedere queste persone menomate che imbustano lettere o attaccano francobolli, seduti su una sedia a rotelle, mi si stringe il cuore. Ma perchè sono nati così? Non era meglio forse saltare il turno e passare a una vita successiva?

E io, sgangherato clown di questo buffo teatrino che è la vita, mi sono rotta le palle un pò di tutto.
Andiamo in giro, io e la mia fidata carogna sempre sulla spalla, a passo spedito, senza guardare in faccia nessuno, con tanta voglia di attaccare rissa con chiunque, vivendo alla giornata e sperando di arrivare a sera senza troppi scossoni. Anche se le notti sono troppo spesso costellate di incubi, non importa, è troppo bello stare rannicchiati sotto un caldo piumone con il gatto acciambellato sul cuscino che fa le fusa e tanta voglia che questo stato di benessere non finisca più.
La notte è il momento più bello della giornata, almeno finchè non prendi le pastiglie magiche che ti stendono come se ti fosse passato sopra un tir e la mattina ti svegli che sei così rintronato che ti senti come se avessi fatto un frontale con una sequoia.
Soprattutto d'estate, che tieni le finestre aperte, il profumo della notte entra in casa, penetra nei muri, ti da una sensazione di pace universale.
Nel cuore della notte ci sei solo tu e i tuoi pensieri, futili o profondi che siano, rimani solo con te stesso e da lì non puoi proprio scappare.
Cosa succede nell'anima di notte non lo saprà mai nessuno, a volte fa anche paura, perchè non hai nessuno a cui chiedere aiuto.
Non so cosa darei per dormire di giorno e stare sveglia la notte, camminare nelle strade deserte, cullarmi nel silenzio del grano che si muove in sintonia col tiepido vento dell'estate...
E infine, accucciata su un tetto, avvolta in una coperta e con una sigaretta in bocca, osservare il sole che sorge lentamente per dare inizio a una nuova giornata.
E mandarlo allegramente afffanculo.

lunedì 28 marzo 2011

Io e il dottor B.

Io sono sempre stata una persona che ha (tranne qualche piccolo incidente) sempre goduto di ottima salute.
Modestamente mi definirei una roccia e, qualunque cosa mi accada, ho degli ottimi tempi di recupero.
Eppure da un certo numero di anni, non saprei direi quanti, ma sicuramente più di dieci, ho avuto a che fare con le più disparate categorie di dottori.
Ricordo, una volta, di aver ascoltato una battuta del grande Woody Allen (almeno se la memoria non mi tradisce credo fosse lui) il quale diceva: "In base al dottore che ti scegli, automaticamente ti determini da solo la tua malattia".
Carina come battuta, non so quanto attendibile, ma nel mio caso forse ha un fondamento, del quale però mi sfugge il nesso causale..
Oramai i miei medici di riferiemento sono rappresentati da neurologi, internisti, psicologi ma soprattutto, anzi, quasi esclusivamente, psichiatri.
Si tratta di una categoria tosta e degna di ammirazione anche perchè avere a che fare con i misteri del cervello umano dev'essere una sfida molto avvincente.
Non ne ho conosciuti tantissimi, di sicuro erano persone molto preparate, alcune anche troppo altezzose nel loro camice bianco inamidato, qualche giovane praticante di belle speranze, ma tutti invariabilmente molto distaccati, quasi che noi pazienti rischiamo di contagiarli con le nostre psicosi e le nostre fobie.
C'è Simone Cristicchi che canta: "... questa è malattia mentale e non esiste cura..." Mi sa che l'ha detta giusta...
Di sicuro agli psichiatri fanno un bel lavaggio del cervello prima di abilitarli alla professione, sarei curiosa di sapere quanti di loro riescono a preservare pura ed incontaminata una seppur piccola parte della loro anima.
Uno dei pochi che ci è riuscito è il dottor B.
Il dottor B. è il mio psichiatra da circa due anni, una durata oserei dire da record, considerata la scarsa continuità con cui affronto tutti gli impegni della mia vita, dal lavoro, alle cure mediche, alle relazioni sentimentali.
Infatti con lui riesco sempre a rispettare il nostro rituale appuntamento del martedì a mezzogiorno, e se per qualche motivo non può ricevermi, sento che rimane in sospeso qualche cosa, un vuoto da riempire, come un rito non compiuto.
Evidentemente, così come narrato in uno dei nostri libri preferiti, noi due ci siamo addomesticati, proprio come la volpe ed il Piccolo Principe (resta da capire chi sia la volpe e chi il principe....).
Io e il dottor B. ci siamo conosciuti nell'estate 2008, quando io ero stata rifiutata dalla comunità di Portogruaro e parcheggiata in Medicina a Udine.
Ero un piccolo groviglio di ossa in una scodella di sangue (bella questa parafrasi, sebbene sia un pò cinica), intubata da un sondino che, partendo dal naso, attraversava l'esofago per immettere nello stomao una massa liquida densa color sabbia che rappresentava la mia alimentazione.
Insomma, non era una gran vita, in più non dormivo la notte però per fortuna (o per sfortuna, chi può dirlo, non ci avevo ancora lasciato le penne ma ci ero andata molto vicina).
Una volta una dottoressa (che ora è il mio medico di base, la grande - e anche un pò schizzata - dott.ssa I.) mi disse che noi pazienti tendiamo ad assumere, nei confronti dei nostri terapeuti, un comportamento molto estremo, quasi manicheo: o un forte odio e disprezzo oppure un amore quasi morboso.
Nel mio caso non è così. Ovviamente non potrei mai odiare il dottor B., è un'impresa impossibile, al massimo mi potrei prendere qualche leggera incazzatura.  Tantomeno sono innamorata di lui. E' troppo fuori età per me e forse anche troppo buono, lo triturerei in cinque nanosecondi.  E anche se fosse mio coetaneo non mi permetterei mai di mandare a puttane una relazione terapeutica così ricca di contenuti come la nostra. Riconosco comunque che da giovane sia stato un gran bel figliolo, ma forse era troppo impegnato sui libri a studiare o a scalare montagne per sfruttare appieno le sue "carnic lover" potenzialità.
E' mitico il dottor B.: odia il computer e anche trafficare su internet non gli è congeniale.
Per cui, visto che io ci tengo a che lui legga il mio blog, ogni settimana gli porto i miei post belli stampati e rilegati, che lui puntualmente legge sempre. Tra l'altro, lui è una di quelle persone che mi sta incoraggiando ad intraprendere la carriera di scrittrice.. chissà... magari un giorno ci riuscirò...
Ma torniamo al momento del nostro primo incontro: il dott. B. è arrivato in reparto assieme ad un'altra strizzacervelli e subito mi ha colpito per quello sguardo mite e la faccia da buono.
La bontà d'animo quella che si vede negli occhi, è una cosa che mi ha sempre colpito profondamente nelle persone, non solo negli uomini, ma anche negli anziani, nei diversamente abili (i down in particolare) oppure anche negli animali.
Ci siamo messi a parlare del più e del meno ed abbiamo scoperto di avere una quantità incredibile di cose in comune: da giovani (beh io da piccola) abitavamo nello stesso paese, ma non solo, addirittura nella stessa via a pochi numeri civici di distanza. Ad entrambi piace leggere e abbiamo gusti molto simili sia in tema di musica che di politica. Sarebbe stato proprio bello fare il Sessantotto con lui.
Il dottor B. mi piace perchè mi da l'idea di una persona che non si conforma ai diktat burcratici, ci mette l'anima in quello che fa e ciò che fa non è certo per il vil denaro, ed è una caratteristica che non ho mai riscontrato in nessun medico prima di lui.
Me lo immagino come un soldato in trincea lasciato a presidiare da solo i confini di un territorio che non si capisce dove inizia  dove finisce.
Certo, sa essere anche duro quando le circostanze lo richiedono, come quando mi ha minacciato di togliermi la patente, però la mia opinione la tiene sempre in considerazione, anche quando sparo enormi cazzate (quando volevo la fluoxetina a tutti i costi! L'ho pagata cara!).
A volte non sono stata del tutto sincera con lui, ma non era mia intenzione ingannarlo, ma solo un sano istinto di autoprotezione. E approfitto di queste righe per chiedergli  scusa.
E' mitico perchè, sapendo la mia immensa curiosità in tema di farmaci e patologie mentali, ogni tanto, con grande gaudio mio, mi propina delle interessanti lezioni di farmacologia applicata tanto che se aprissero la facoltà di Farmacia a Udine, io mi iscriverei immediatamente.
Non so ancora quanto andrà avanti la nostra relazione terapeutica. Spero che arrivi quel giorno in cui non avrò più bisogno di di medici ed ospedali.
E intanto mi godo le belle chiacchierate del martedì con l'eroico dott. B., sperando, un giorno non lontano, di ritrovarci in cima a qualche monte, (l'Amariana è il nostro monte) oppure in qualche bettola sperduta su per la Carnia a bere vino bianco e sparare cazzate a nastro...

PS Sono pronta a scommettere qualsiasi cosa che il dott. B. è, sotto sotto, un gran narcisista, tanto che si rileggerà questo mio post tante di quelle volte fino a consumarne la carta!



lunedì 21 marzo 2011

Svalvolata

Vista e considerata nonchè attentamente vagliata la mia situazione attuale, degnamente riassunta dai Baustelle con: "Io non voglio crescere, andate a farvi fottere...", fatta dunque questa doverosa premessa, ho deciso che per il prossimo periodo di tempo che per ora non ho ancora quantificato (bisogna provare) adotterò nei confronti del mondo un comportamento altamente asociale, nello specifico:
- starò quasi sempre in casa, a rincoglionirmi con Farmville oppure distesa sul divano a grattarmi la pancia e a farmi mordere i piedi dai gatti;
- uscirò solo per strette necessità (spesa, commissioni varie etc), visto che ho la fortuna di lavorare da casa;
- non andrò a trovare i miei perchè voglio evitare le classiche romanzine: "Ma che pallida che sei", "Ma come sei messa in banca?" (male, è ovvio! Mica ho vinto alla lotteria!). Nessun astio nei loro confonti, è semplicemente voglia di fare la mia strada autonomamente;
- mangerò quando avrò voglia di mangiare, dormirò quando avrò voglia di dormire, nessun rispetto per l'orologio appeso alla parete;
- non renderò conto a nessuno di ciò che dico, faccio, scrivo. Ovviamente senza mancare mai di rispetto, dopotutto qualcosa avrò imparato, avendo fatto l'asilo dalle suore e le medie e il liceo dai preti;
- mi laverò solo quando sentirò provenire un odore tipo Sole Piatti dalle mie ascelle;
- niente cinema, neanche da sola. Troppa fatica muovere il culo fino agli affollati multisala, coi sedili talmente morbidi che finisco sempre per addormentarmi. Allora per la cifra di 7 euro, dormo meglio sul mio divano;
- rinuncio a tutti i momenti di convivialità ed aggregazione sociale a cui sarò invitata (anche perchè a simulare un sorriso dopo un pò fanno male i muscoli facciali);
- risponderò male, ma molto male, a chiunque mi farà girare le palle, sono eventualmente disponibile ad attaccare rissa. Devo pur far fruttare le nozioni apprese al corso di kick boxing;
- risponderò a mail, telefonate, sms solo se in quel momento il mio quadro astrale me lo consentirà.
Contestualmente, oltre a questo codice comportamentale molto rigido e direi anche assurdo, ho deciso che mi prenderò delle sane e sacrosante libertà:
- rutto libero e scoreggia ben accetta in ogni luogo, in ogni ora, in ogni mare, in ogni lago;
- fumare a bestia come sempre, anche nei luoghi dove è proibito;
- se mi va, mi ubriacherò fino a strisciare per terra (ovviamente a casa mia, visto che già da sobria faccio fatica a tirare fuori l'auto dal garage senza rigarla);
- rimettermi a leggere e far fuori la pila di libri che ho accumulato in casa e poi regalarli a qualche biblioteca. A volte è più saggio leggere un buon libro che scrivere cazzate come queste;
- musica rock duro a manetta, quando mi va, e se mi prende il trip mi metto a saltare ed urlare tutta nuda in cucina (che poi coincide con la sala, mica vivo in un castello io), fino a che l'ultima corda vocale si spezzerà;
- mangiare schifezze, costano meno delle cose sane, e poi si sa dove vanno tutte a finire;
- nessuno costrizione a fare cose in cui non credo;
-  libera gestione della terapia farmacologica: se oggi voglio prendere le paste alle ore 18 anzichè alle 8, non c'è alcun problema (a questo punto al mio adorato dottor B, che ormai avrete capito tutti che è il mio strizzacervelli di fiducia, saranno caduti tutti i capelli.. sorry...);
- insultare tutte quelle rompicoglioni che mi telefonano per vendermi mobili, vino, o abbonamenti telefonici. So che è un lavoro di merda, l'ho fatto anch'io e penso che un vaffanculo a chi mi tritura i marroni mentre mangio o sono nella vasca da bagno, sia ampiamente meritato (forse più ai loro capi, ma qui non saprei come fare);
- andare in giro con il lettore mp3 a palla e far finta di capire cosa mi dice il mio interlocutore;
- mai offrire aiuto se non richiesto e valutare comunque la situazione anche quando viene richiesto;
- nessun rispetto per l'autorità.
Mi piace la mia nuova way of life, ma sono proprio curiosa di  vedere quanto dura. Magari mi si sgonfiano le palle, ma da un pò troppo tempo sono strapiene e girano vorticosamente.
Good night and good luck:)

lunedì 14 marzo 2011

Flash numero 2

Lunedì 14 marzo


Nuovamente lunedì mattina: a quanto pare la mia creatività (e a volte spero pure credibilità) si ridesta dal letargo del fine settimana e mi fa venire voglia di scrivere, ovvero scribacchiare forsennatamente su fogli improvvisati ciò che mi passa per la testa per poi ricopiare tutto con santa calma sul blog.. come minimo mi vanno via cinque giorni.

Il lunedì mattina si ridestano i pochi neuroni rimasti, e solamente quelli che non sono stati selvaggiamente bombardati da dosi varie e variegate di psicofarmaci nel corso degli anni. Decisamente troppo poco.

Infatti sento che col passare degli anni le mie capacità cognitive stanno drasticamente diminuendo, ma in cambio ho scoperto il desiderio di scrivere, di raccontarmi, e quasi quasi preferisco perdermi nel mio mondo bizzarro piuttosto che cercare di inserirmi una realtà che, sarà per colpa mia, non lo nego, mi ha sempre rimbalzata fuori come se avessi fatto un frontale contro una sequoia.

Ed eccomi, nel contemplare il vuoto, come sempre più spesso mi capita, e continuare ad osservare come in un film i flash più significativi della mia vita.

E dai mille stralunati flash della mia vita fanciullesca, tormentata, ingenua ma anche felice, (e quell'epoca secondo me era un gran bel mondo anche se i Beatles si erano già sciolti), giungo secondo percorsi neuronali del tutto casuali a nuovi flash, questa volta un po’ più recenti.

Caspita, ho già 38 anni, quasi non me ne rendo conto, e di acqua ne è passata sotto i ponti (a volte acqua inquinata, a volte fango vero e proprio ma anche acqua limpida come una spiaggia tropicale).

La prima laurea è un ricordo archiviato nell’armadio delle inutili formalità espletate. L’unica cosa che ricordo con piacere è che mi sono scolata a canna tutta la bottiglia di limoncello.

La seconda invece è stata dura, ma fortemente voluta. Non volevo dimostrare niente a nessuno (ho già provveduto ad accontentare mio padre con la prima).

La tesi è stata molto impegnativa, sul Sessantotto, periodo nel quale avrei voluto ardentemente vivere. Ricordo che non mi reggevo neppure in piedi per le pessime condizioni di salute, ma , dura e tenace, con quintali di pura adrenalina addosso, sono arrivata fino alla discussione. E quando sei lì, davanti alla commissione, e con voce decisa e perentoria discuti i tuoi scritti e le tue teorie, è un momento che non ha prezzo (soprattutto quando ti comunicano il voto!).

Senti che sei grande, che hai un valore, che non hai buttato via il tuo tempo inutilmente. Almeno fintanto che ti trovi all’interno dell’Aula Magna dell’università, poi quando torni alla realtà vedi che la situazione non è cambiata poi di molto (almeno dal punto di vista lavorativo). Però ne è valsa la pena e rifarei tutto da capo se dovessi ritornare indietro.

Altro flash, poco distante dalla seconda laurea: io che entro in comunità a Portogruaro. Pessima esperienza, litigi con tutti, medici, infermieri, operatori vari. Non sopporto la rigida disciplina militaresca e soprattutto che mi si mettano le briglie.

E in quell’occasione la Signora Morte ha bussato alla mia porta: un collasso e via di corsa a sirene spiegate in ambulanza al pronto soccorso. Non scorderò tanto facilmente quella corsa. Io, tanto spavalda, ho visto la tanto agognata morte in faccia e in quel momento me la sono davvero fatta sotto.

Avrei tanto voluto morire a casa, nel mio letto, in un posto a me caro. Giuro, la morte l’ho vista, ma in quel momento non ero pronta, mi ha fatto troppa paura. Il fatto è che devi essere preparato, ci sono tutti i riti per accoglierla con il rispetto che merita. L’esperienza insegna.

Ricordo poi che mi hanno ricoverata in ospedale, mi hanno messo il sondino naso gastrico; due mesi di tortura. Ma non c’era altra via d’uscita. Mi sono sentita irrimediabilmente sconfitta, gettata all’angolo. Del successivo ricovero a Portogruaro non ne parlo volentieri, forse perché l’esperienza si è rivelata piuttosto deludente.

I ricoveri a Teolo: per me è stata una vacanza in un hotel a 5 stelle, in un’enorme struttura immersa nei Colli Euganei. Certo, c’erano le cure, le terapie e impegno da mettere in conto, ma il fatto di vivere in una specie di comunità, di condividere le esperienze con le altre persone, hanno rappresentato una bella vittoria contro la solitudine di cui soffrivo da tempo. Tutto sommato non è andata male. Soprattutto il secondo ricovero, nel quale ho conosciuto persone splendide, tormentate ma di una profondità unica.

Di Teolo ho un ricordo fatto di malinconia struggente. Le sigarette in terrazza alle 6 del mattino, le cazzate sparate la sera prima di andare a dormire, i silenzi artificiali dei corridoi nel cuore della notte e ognuno perso nei suoi sogni e nei suoi pensieri, i pasti a orari improponibili, le passeggiate nel parco, le mille partite a ping pong. Mai prima d’ora mi ero sentita così protetta e non ho patito la solitudine.

E poi l’uscita dalla clinica, la ripresa di una parvenza di vita normale, un simil lavoro, due gatti a tenermi compagnia, insomma, sembrerebbe tutto sotto controllo.

Ma non so perché, sarà il mio essere fuori dagli schemi, oppure i neuroni danneggiati, ma ho di nuovo la carogna che continua a salirmi quotidianamente sulla spalla e mi mangia l’anima. Ogni tanto mi lascia in pace, ma sono momenti molto fugaci.

E quel mucchietto di pastiglie che ho inghiottito un paio di settimane fa sono il gesto estremo che finora non avevo mai avuto il coraggio di compiere ed è un segnale che mi dice che sono tanto stanca. E’ la stessa storia che si ripete ciclicamente: per un po’ stai bene, poi stai di nuovo male, ma il cielo continua a d essere grigio nonostante tutti gli altri ti dicono che è azzurro. Niente da fare. Tu non lo vedi.

Per ora ho ancora un po’ di benzina per andare avanti, poi penserò a cosa fare. Già intravedo un nuovo ricovero a Teolo.

Ed ora? Mi ritrovo in un’aula piena di persone disabili che seguono con un’attenzione cento volte superiore alla mia (anche perché i farmaci mi fanno dormire) un corso di contabilità. Mi sono fatta fregare per l’ennesima volta dal mio desiderio di imparare qualcosa di nuovo, di fare la diligente allieva di corsi indubbiamente organizzati bene ma dalla dubbia utilità in campo lavorativo. La contabilità e soprattutto la redazione del bilancio mi mancavano, come se, una volta imparate, mi si apriranno mille porte per entrare nel mondo del lavoro.

Bull shit! Ma fare le ore piccole sui libri mi ha sempre appassionata, che ci volete fare, amo le sfide. Anche se il fascino che provavo verso il mondo del lavoro si è esaurito da un bel pezzo, almeno trascorro le mattine fissando la lavagna con l’insegnante che scrive numeri e formule che io capisco con molta difficoltà.

E di nascosto, quatta quatta, strappo un foglio dal mio block notes e senza farmi notare continuo a scrivere le mie stranezze, coltivando, in un angolo segreto del mio cuore, il desiderio di diventare, un giorno o l’altro, una scrittrice.

Per il resto non penso ad altro.

Cerco solo di sopportare la vita.

domenica 6 marzo 2011

Flash

E' un lunedì mattina grigio/freddo/nuvoloso come da copione, io mi ritrovo seduta nella mia auto al distributore di benzina. Rimango imbambolata a fissare il muro grigio, senza accorgermi dell'enorme cartello che dice che è tutto chiuso.
Fisso il vuoto senza vedere nulla.
E la mente parte.... succede spesso... Tanti flash di momenti belli e momenti brutti vissuti nella mia vita, come un cortometraggio a volte in bianco e nero, a volte a colori, che mi fa pensare a quante cose ho vissuto finora.
Quando andavo a far benzina proprio il quel distributore perché mi piaceva il benzinaio, era molto gentile, piccolo e cicciottello, ma, me ne sono accorta subito, mi trattava con la consueta gentilezza che usava per tutti gli altri clienti.
La via IV novembre a Feletto Umberto, percorsa un miliardo di volte per andare a lavorare, passando davanti alla casa della mia amica Lorenza, compagna di stanza in collegio a Padova.
La mia stanzetta numero 16 in collegio, in cui troneggiava il poster di Paul MaCartney, dove facevo i santi cavoli miei. Ma ero anche diligente, studiavo parecchio, anche fino alle due di notte, poi un esame bastardo mi ha messo i bastoni tra le ruote e ho mandato tutto a quel paese (salvo poi rifarmi alla grande in età più matura).
La stanza si trovava proprio sopra la fermata dell'autobus e io, proprio al primo piano, certamente avrò inalato una discreta quantità di quell'urban parfume. Ricordo anche con infinito piacere le partite a carte fino a tarda notte, bevendo e fumando come disgraziate, ma è anche naturale sgarrare un po' quando finalmente a 18 anni esci di casa e vai a vivere una nuova vita lontano dall'oppressione dei genitori.
Le fette biscottare nel caffellatte a colazione quando ero piccola, le odiavo, facevo il possibile per saltare la colazione, ma purtroppo quel buldogg di mia madre era proprio forte a placcarmi.
Quando ho scoperto che mi piacevano da impazzire i pomodori, Avrò avuto 3 anni, papà stava pranzando r io, piano piano, gli ho fregato tutte le fettine, godendo felice.
Il mio primo giorno di scuola, col grembiule nero ed il fiocco rosa. mia nonna che mi accompagna tenendomi per mano e mi affida alla maestra. Eravamo nei prefabbricati perché c'era stato da poco il terremoto, ma a me piaceva lo stesso. Ricordo l'odore della cartella, non so proprio come descriverlo, un cuoio molto forte e inebriante. So solo che era unico e per anni, andando in soffitta, continuavo ad annusarlo, facendomi delle piste galattiche.
L'odore dei pennarelli, la colla che ci spalmavamo sulle mani per poi sfregarla e trasformarla in piccoli grumi, il fastidio del gesso che si rompe sulla lavagna.
Io che facevo la piccola teppista provocando danni ai motoveicoli parcheggiati sotto casa, e soprattutto picchiavo con violenza infinita i bambini più piccoli di me. Ero il terrore del quartiere, mi chiedo ancora come mai non siano intervenute le assistenti sociali. Forse all'epoca non esistevano.
Una notte, ero piccola, avrò avuto 2 o 3 anni, mi sono svegliata nel cuore della notte ed ho visto davanti al mio letto una figura bianca trasparente, che mi fissava e mi soffiava aria fredda. Il terrore mi fa chiudere gli occhi con la speranza che scompaia, ma rimane lì e io mi metto a chiamare a squarciagola mio papà. Non ho ancora capito cosa fosse ma ci giurerei, anche a distanza di molti anni, che fosse un'entità reale.
Le lunghe passeggiate con la nonna, visto che i miei non potevano tenermi. Non era di molte parole, ma adesso rimpiango tantissimo per non averla trattata con più affetto. Ero e rimango la solita cogliona e maleducata.
Mi ricordo che partivamo dalla casa di Tolmezzo e andavamo a farci un giro, con l'immancabile sosta al Bar Manin, dove lei prendeva un caffè e leggeva il giornale, mentre io mi ciucciavo l'immancabile lecca lecca alla fragola.
Le porte sbattute in faccia a mia madre perché non volevo che entrasse in casa: non c'era mai, che diritto aveva di metterci piede?
Le innumerevoli botte ricevute perché non volevo mangiare; ho ancora il segno di una bastonata inferta da mio padre sulla testa col mestolo della polenta. Ogni tentativo di fuga era inutile.
Un flash molto particolare: avrò avuto pochi mesi di vita ma mi rivedo con gran lucidità distesa sulla bilancia (quanto mi stanno sulle palle le bilance!) e poi sollevata e rimessa sulla culla dalla mia dottoressa. Piangevo e urlavo e, lo giuro, sento quel momento nella sua intensità come se fosse successo ieri..
Le lunghe perlustrazioni delle cantine e delle soffitte dei condomini di Tolmezzo, alla ricerca di chissà quale fantomatico tesoro. Ci sentivamo trasgressivi e, inutile dirlo, io ero il capobanda.
I miscugli di detersivi e medicine che io e la mia dirimpettaia Francesca facevamo in terrazza, avevamo la sindrome del piccolo chimico. troppo divertente.
Le lunghe passeggiate al mare da piccola con mio padre, il colore del sole che tramonta sulla vastità del mare.
Il periodo da profuga durante il terremoto a Grado con la nonna. Eravamo solo io e lei, e le mie cugine nell'appartamento a fianco. Io lo ricordo come un momento fantastico, eravamo una piccola comunità di profughi carnici, era così bello essere uniti in un momento così difficile.
Le canzoni di montagna insegnate da mio padre quando andavamo in ferie ad Auronzo, e a squarciagola cantavamo "Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio..."e così via in una infinita serie di duetti.
Le ferie ad Auronzo: tutto bello tranne il viaggio, dato che mio padre, per come affrontava i tornanti, faceva venir voglia di vomitare i pasti degli ultimi cinque anni. Amavo andare al lago dove c'erano le giostre e gli scivoli, ci perdevo le ore.
Quando ho compiuto 6 anni: nella mia mente ero convinta che da quel momento in poi, inziando la scuola, sarei diventata una persona grande. E allora mi sono presa armi e bagagli e sono andata a fare un giro per Auronzo da sola. Quando i miei mi hanno beccato, ne ho prese tante ma tante, che ancora me lo ricordo.
La mia prima Comunione: ero dolcissima, con quel vestito lungo e bianco, gli occhioni azzurri che spuntavano dalla foto, con la frangia d'ordinanza, e uno sguardo ricolmo di serenità infinita. Ma che odio le collant bianche che non mi stavano su, perchè io ero la più alta di tutti e non si riusciva a trovare un indumento che fosse uno che andasse bene per la mia taglia. E tutto il casino che abbiamo fatto al ristorante: tutte le pietanze che non ci piacevano le abbiamo buttate sotto il tavolo. Un gran bel porcile...
Quando mio papà mi ha salvato la vita in un incidente stradale durante un viaggio di ritorno da Auronzo, una domenica sera. Ad un tornante un tizio ubriaco fradicio ha deciso che la strada era tutta sua e ci ha centrato in pieno.
Quando io e mio padre, visto che nell'incidente ci eravamo entrambi fatturati il femore, andavamo in giro per Tolmezzo ognuno con le stampelle. Eravamo un po' buffi da vedere.
Quando durante l'adolescenza io e mio padre ci odiavamo talmente tanto che ci davamo tante di quelle botte che forse è da lì che mi è nata la passione per il kick boxing.
Le mie velleità artistiche: facevo pattinaggio artistico con scarsi risultati ma tanta buona volomtà: ho ancora le foto dei saggi annuali: in una sono vestita da cespuglio e nell'altra da arpa. Quando quelle foto, anni e anni dopo, sono finite nel bar del paese,(gran scherzo bastardo di franz e Luigi) , io dalla vergogna, per sottrarmi alle grasse risate degli avventori, volevo nascondermi in cantina coi topi.
Quando ho comunicato ai miei che mollavo l'università: non me l'hanno mai perdonato. Per non parlare di quando alla maturità sono uscita solo con 38/60. Gli ho dato una delusione cocente. Ma io sono così: se una cosa mi piace la studio, altrimenti, il libro rimane intonso.
Quando un paio di anni fa mia madre mi telefona dicendomi che mio padre sta male . Infarto. Ma alla fine ce l'ha fatta. Però il terrore che ho provato per una eventuale imminente perdita è inenarrabile e ancora qui con me, che me lo porto dentro.
Paradossalmente mia mamma non c'è mai nei miei flash (tranne per le botte quando non mangiavo) e se appare faccio subito in modo che la sua figura scompaia immediatamente. Non la odio, anzi, apprezzo quanto ha sempre fatto per me, ma non la amo, a volte la tollero con fatica, altre le spaccherei la faccia, ma riconosco che è dotata di un bel paio di palle grandi e grosse. Rispetto, dunque, sempre e comunque.
Gli gnocchi la domenica a pranzo, la pizza fatta in casa la domenica sera quando io ne approfittavo per rubare un goccio di birra dal bicchiere di mio padre e la mia faccia diventava di uno strano colore rosso-violaceo.
Il pasticcio a Capodanno, seduti in sala, con servizio buono e il caminetto acceso e in sottofondo il concerto di musica classica in grande stile dell'Orchestra di Vienna.
Le giostre e le bancarelle a Udine a novembre per Santa Caterina, e i biglietti gratuiti che ci regalava zio Bepi, che lavorava nella polizia e, non so come, aveva sempre la soluzione a tutti i problemi.
Il mio continuo peregrinare come ospite a volte a volte ben accetta a volte fastidiosa un pò meno dei vari parenti perchè i miei genitori non potevano tenermi visto che mio padre era sempre ricoverato in ospedale, impegnato a non lasciarci troppo presto la pellaccia.
Indimenticabili gli scherzi dei miei cugini Claudia e Alberto. una volta mi hanno fatto salire su una sedia per passargli un fico e loro, dalla terrazza al primo piano mi hanno rovesciato addosso un intero secchio di acqua ghiacciata.
Il bizzarro cugino Luca non mi faceva mai annoiare: grazie a lui ho imparato a giocare a ping pong e anche a golf nella pista artigianale costruita nel giardino.
Le scuole medie dai Salesiani, con la loro ferrea disciplina: credo di aver svolto da loro il mio servizio militare e, visto che se sono comandata a bacchetta rendo al massimo, ho ottenuto risultati eccellenti. Cosa che poi non si è ripetuta più.
Le vacanze in Toscana con i miei: stupenda regione, pallosa la vacanza, con genitori che odiavano la spiaggia (e quello splendido mare) e privilegiavano chiese, mostre e musei: me ne fosse fregato qualcosa.
Potre andare avanti per ore, ma con due neuroni come bagaglio culturale, necessito del meritato riposo.
Però è una figata questa dei flash..
E non finisce qui....

mercoledì 2 marzo 2011

For no one

Presa in prestito ed adattata da For no one dei Beatles. Dedicata a chi non c'è più, non fisicamente per fortuna, ma solamente nella mia vita..
Your day breaks, your mind aches
You find that all her words of kindness linger on
When he no longer needs you
He wakes up, he makes up
He takes her time and doesn't feel he has to hurry
He no longer needs you
And in his eyes you see nothing
No sign of love behind her tears
Cried for no one
A love that should have lasted years
You want him, you need him
And yet you don't believe him when he says his love is dead
You think he needs you
And in his eyes you see nothing
No sign of love behind the tears
Cried for no one
A love that should have lasted years
You stay home, he goes out
He says that long ago he knew someone but now she's gone
He doesn't need him
Your day breaks, your mind aches
There will be times when all the things he said will fill your head
You won't forget him.
And in his eyes you see nothing
No sign of love behind his tears
Cried for no one
A love that should have lasted years...
..con tanto rimpianto..
the show must go on..